Schiit Yggdrasil: quando 21 bit suonano meglio di 32

C’è poco da aggiungere al titolo dell’articolo.
È tutto scritto all’interno di quella singola frase…

Avete, come il sottoscritto, una collezione di musica digitale/liquida per la maggior parte in formato PCM e il poco materiale in DSD è quello contenuto nei SACD?
Allora sappiate che, personalmente, non ho memoria di un DAC che suoni alla pari dello Schiit Yggdrasil e che non costi come un’utilitaria…

Premetto che a questi livelli, apparecchi con listini che superano le € 1500÷2000,00, le differenze sono generalmente nelle sfumature e nei dettagli; ci sono, però, casi in cui non è così.
Ci sono casi in cui le differenze sono talmente lampanti che non serve fare confronti in doppio cieco per capire che ciò che si sta ascoltando è qualcosa che rimarrà ben impresso nella memoria come “nuovo riferimento”.

Mi era già successo, in passato, con l’accoppiata EAR Yoshino Dac4+Acute 4: non avevo mai sentito una sorgente digitale suonare tanto “analogica”. Niente asprezze, niente incertezze… Niente se non Musica.
All’epoca, però, l’impianto non era il mio ed era una demo di DML Audio per cui tutto l’impianto era di assoluto riferimento e non avevo modo di capire se la magia derivasse solo dall’accoppiata trasporto+convertitore o se ci fosse dell’altro a contribuire alla cosa.

Con Yggy è successa, esattamente, la stessa cosa. Nel mio impianto però…

Il DAC Schiit ha bisogno di un discreto tempo di warm-up, almeno mezza giornata stando alla mia esperienza diretta, per suonare al suo meglio ma già da “freddo” suona come il DCD-A100 a regime termico.
Man mano che le temperature interne si stabilizzano il suono dell’americano inizia a prendere forma e dimensione inavvicinabili dal giapponese. Tutto suona più naturale e meno compresso, più verosimile, e allo stesso tempo la scena si estende in tutte le direzioni.

Non sono gli strumenti/voci a “spostarsi nello spazio” ma è lo spazio intorno a loro che prende forma in modo diverso…una cosa difficile da spiegare ma lampante una volta di fronte ai diffusori.
Yggy “crea” uno spazio sonoro che prima non c’era; e lo fa, molto semplicemente, aggiungendo maggior dettaglio nei transienti, nel microcontrasto e nella dinamica generale. Le risonanze, i decadimenti, le armoniche, tutto quanto insomma, vengono gestite senza congestioni e senza sovrapposizioni.
Si possono sentire tutte le componenti strumentali/vocali ben distinte e svincolate le une dalle altre e senza impastamenti. E la cosa, badate bene, non avviene solo con quartetti Jazz o con i “classici” brani da fiera audio. Anche “I get wet” di Andrew W.K. gode della stessa magia, in tutta la sua compressione dinamica quasi estrema.

Un’altro “effetto collaterale” del warm-up è la comparsa di quello che in rete molti definiscono “Moffat Bass”. La gamma bassa prende vita e forma in modo inaspettato ed inusuale.
Non si tratta, però, di una enfatizzazione della gamma bassa ma della maggior coerenza temporale di riproduzine dovuta al particolare algoritmo di upsampling adottato da Schiit (il famoso Mega Combo Burrito che lavora sia nel dominio della frequenza che, soprattutto, nel dominio del tempo).

Ritengo che il 95% della magia di questo DAC risieda esclusivamente nel filtro digitale adottato. Credo proprio che sia questo il segreto dei DAC Multibit di Schiit Audio: la loro caratteristica unica, ed intrinseca, di convertire il segnale in ingresso mantenendo tutte le informazioni presenti senza introdurre variazioni di fase/distorsioni temporali che non alterano il singolo suono riprodotto ma che sono in grado di modificare l’intelleggibilità dell’intero messaggio sonoro.

Ora, francamente, sarei curioso di verificare questa mia affermazione con il DAC Delta-Sigma che Schiit sta sviluppando e che dovrebbe essere introdotto nel corso dell’anno…

Schiit Yggdrasil OG: quando la Musica prende il sopravvento

Sto iniziando a mettere giù le basi per la recensione del mio attuale DAC di riferimento: lo Schiit Yggdrasil OG.

La cosa si sta rivelando abbastanza complicata e non tanto perché ci sia poco da dire su questo DAC ma perché non riesco a terminare una sessione di confronto che sia una con gli altri DAC attualmente presenti in casa (Denon DCD-A100 e Schiit Modi+)… Dopo due passaggi da una sorgente all’altra torno a Yggy e basta. Il tutto si blocca e vado in stallo…

Mi fermo ad ascoltare musica, anche CD vecchi e inascoltati da tempo, senza pensare ad altro e ogni volta devo un po’ ricominciare da capo con tutto…

Schiit Kara: la recensione – Finalmente!

Ebbene si: è arrivato finalmente il momento di scrivere due righe sul piccolo prodigio che è Kara.

Badate bene: non credo di esagerare nel definire questo preamplificatore un “piccolo prodigio”.
È oggettivamente il preamplificatore linea, bilanciato e multi ingresso/uscita, più piccolo che io abbia mai visto ed è caratterizzato, come se non bastasse, da prestazioni decisamente eccezionali in relazione a due fattori su tutti: è un dispositivo completamente a discreti, costa decisamente meno della concorrenza di pari livello e, lasciatemelo dire, categoria.

Se avete letto i tre approfondimenti di preludio a questo articolo sapete già cosa mi ha spinto ad acquistare il preamplificatore di Schiit Audio a sostituto del precedente Rotel RC-1570 modificato Aurion. Qualora non l’abbiate fatto vi lascio qui di seguito i link:

Schiit Kara – Un approfondimento prima della recensione Pt. 1
Schiit Kara – Un approfondimento prima della recensione Pt. 2
Schiit Kara – Un approfondimento prima della recensione Pt. 3

Terminate le premesse passerei alla recensione vera e propria.

Primo contatto:

Come per Vidar 2 la prima cosa che salta all’occhio, praticamente ancora prima di aprire l’imballo, è che Kara è piccolo rispetto ai suoi concorrenti “standard”.
Più stretto, più corto e più basso del Rotel RC-1570 ha ingombri e proporzioni analoghe ad un lettore multiformato “da salotto”, tipo il Sony UBP-X800M2 (che è comunque leggermente più grande) per fare un esempio abbastanza noto, più che ad un preamplificatore linea “moderno”.

Di nuovo come per Vidar 2 la seconda cosa che si nota è la massa del prodotto unita alla solidità costruttiva che si avverte nell’estrarlo dalla scatola. L’impressione è paragonabile a quella che si ha quando si prende in mano un smartphone di alta gamma, in vetro e metallo, dopo aver maneggiato dispositivi con scocca in plastica: sembra di avere tra le mani un monoblocco; nessuna flessione e nessuna parte “cedevole” sotto le dita.
Kara pesa 5 kg, che non sono tantissimi in termini assoluti, ma sono decisamente tanti se si pensa che il Rotel, decisamente più grande, pesa “solamente” 2 kg in più.

A livello di design estetico si ha a che fare con un dispositivo pulitissmo e decisamente minimale.
Il frontale presenta, oltre al logo del marchio e al nome del prodotto sull’estremo SX, solamente elementi tondi disposti in modo asimmetrico ma armonico.
Nell’ordine da SX a DX troviamo:

  • Sensore IR
  • Uscita cuffia in formato TRS da 1/4 di pollice
  • Selettore degli ingressi – In ordine numerico 1÷5
  • LED identificativi dell’ingresso attivo
  • Manopola del volume
  • Selettore della modalità operativa
  • LED identificativi della modalità attiva
  • Pulsante di “muto” / override uscita cuffie
  • LED che segnala l’abilitazione dell’uscita cuffie
  • LET che segnala l’inibizione delle uscite preamplificate

Il retro è altrettanto lineare, da SX a DX abbiamo:

  • Ingressi – In ordine numerico 1÷5
    1÷2 sono ingressi XLR
    3÷5 sono ingressi RCA
  • Uscite
    1 uscita XLR
    2 uscite RCA
  • Interruttore di accensione a leva
  • Vaschetta per il cavo di alimentazione – Standard IEC C14

Una mezione particolare devo farla al telecomando, praticamente mai utilizzato, che ha una caratteristica che lo rende unico: è magnetico e si attacca alla scocca del preamplificatore così da essere sempre al suo posto una volta terminato l’uso.
Si tratta di un parallelepipedo di alluminio, semplicissimo, che riproduce i comandi fisici presenti sull’unità principale e permette anche una regolazione abbastanza fine del volume.

Di seguito due immagini di confronto con il Rotel:

Primo ascolto – Con Rotel RB-1582:

Prima di collegarlo all’impianto ho alimentato lo Schiit Kara per una mezz’oretta abbondante mentre ascoltavo l’accoppiata Rotel, avendolo ancora con me all’epoca ho rimesso nell’impianto il finale giapponese, in funzione così da avere in mente un termine di paragone a breve termine e verificare che non ci fossero problemi all’accensione.

All’accensione Kara esegue una rotine di self-check e verifica/aggiustamento dei valori di tensione continua in ingresso/uscita. Tale routine dura una quarantina di secondi, si è lunghetta e la prima volta temevo ci fosse qualche anomalia; durante le operazioni il LED che segnala la disabilitazione delle uscite lampeggia.

Passata mezz’oretta ho provveduto a fare spazio a Kara e inserirlo nell’impianto. Unica sorgente utilizzata per questa prima prova di ascolto: Denon DCD-A100.

La prima cosa che ho ascoltato? Il silenzio.

Non fraintendetemi: l’impianto suonava esattamente come prima a livello di messaggio musicale ma, a differenza del Rotel, con il preamplificatore Schiit i “contorni” degli strumenti erano più marcati. Il famoso nero infrastrumentale era più facilmente avvertibile sottoforma di aree di silenzio tra uno strumento e l’altro.
Per la prima volta, nel mio impianto e a parità di finale, sono stato in grado di sentire questa cosa. Mi era già capitato in passato, Fosi Audio V3 vi dice nulla?, ma mai con il Rotel RB-1582 a pilotare i diffusori. Ho sempre pensato che fosse un limite del finale e non del preamplificatore… Del resto avevo già avuto modo di sentire qualcosa di analogo collegando Vidar 2 al posto del giapponese.

Di nuovo: inserendo nella catena di preamplificazione/amplificazione un prodotto Schiit ho avuto la sensazione del parabrezza pulito di cui ho parlato nella recensione del finale.

Altre differenze con il Rotel RC-1570? Quasi nessuna oltre ad un leggero aumento di profondità della scena.
Signori il mio Rotel era, ed è tutt’ora nell’impianto di un altro appassionato, un preamplificatore che poco aveva dell’originale. Kara ha, però, portato pulizia all’immagine sonora e aumentato leggermente la qualità di riproduzione degli estremi di gamma bassa e alta. La gamma media ha acquisito solo un pizzico di naturalezza in più ma qui, lo ammetto, potrebbe essere solo soggezione.

Davvero: il vero salto in avanti è stata la pulizia della scena e la maggior definizione strumentale.

Schiit Kara + Schiit Vidar 2: la combo (quasi) perfetta

Sarò schietto: al momento di sostituire il finale RB-1582 con Vidar 2 non mi aspettavo grossi stravolgimenti dovuti alla sostituzione del preamplificatore. Anche qui, il finale è stato alimentato scollegato dall’impianto per portarlo a regime così da fare uno scambio “a caldo” e poter sfruttare la memoria a breve termine.

Le differenze, utilizzando Kara al posto del Rotel RC-1570 per pilotare il finale giapponese, seppure presenti, erano comunque minime per cui mi aspettavo di ritrovare sensazioni analoghe a quelle avute inserendo Vidar 2 nell’impianto a valle del preamplificatore del Sol Levante…

Mi sbagliavo.

Mi sbagliavo di molto!

La sinergia tra i due Schiit è stata, ed è tutt’ora, un fulmine a ciel sereno.

Tutto ha preso forma e fuoco in modo ancora più evidente e inaspettato.
Il palco virtuale si è allargato, e allungato, ben oltre i diffuori e ben oltre quanto ottenuto con il 1570.

Prendete quanto scritto sopra in riferimento a Kara e RB-1582, quanto scritto nella recensione di Vidar 2 in abbinamento a RC-1570 e unite tutte le migliorie introdotte dai due componenti.
Ecco: questo è il mio attuale sistema di amplificazione. Non serve riscrivere tutto quanto.

In conclusione:

Avete 250 € da investire nell’amplificazione per il vostro impianto? Fosi Audio V3 con alimentatore da 48 V. Senza dubbio alcuno.

Avete intenzione di sostituire il vostro attuale preamplificatore analogico? Considerate Kara.
Fatelo indipendentemente dal budget a disposizione e senza preconcetti.

Avete almeno 2k € da investire nell’amplificazione per il vostro impianto, diffusori non molto efficienti e un ambiente di ascolto abbastanza grande da necessitare dei 100 W su 8 ohm di Vidar (e vi può andare bene un finale in classe AB)?

Non cercate oltre. Fermatevi qui, collegate e ascoltate: Musica!

Avete qualcosa in più da investire o siete disposti a scendere a compromessi in termini di potenza/pressione sonora?
A breve potrei dare risposte anche a voi…

Postilla:

Utilizzo Kara esclusivamente in modalità attiva senza guadagno e quindi quanto sopra vale, di fatto, per questa configurazione. Il passaggio alla modalità High Gain non porta a differenze sonore e la reputo necessaria solo per sopperire ad effettive necessità di maggior guadagno nell’impianto.

La modalità passiva, nonostante sia teoricamente la più trasparente dal punto di vista sonico, risente in modo sensibile della capacità di pilotaggio della sorgente utilizzata: con il Rotel RH-Q10, nato e sviluppato proprio per lavorare con un pre passivo a valle, non ci sono problemi e si riesce a ascoltare a qualsiasi volume senza perdite di alcun tipo; con il Denon DCD-A100, invece, a bassi volumi si perdono molte delle informazioni presenti ma solo perché le uscite del lettore non sono dimensionate per reggere carichi eccessivamente bassi e, quindi, tendono a sedersi e ad appiattire un po’ la scena.
Il livello di rumore e distorsione in modalità attiva, anche a tutto volume, è talmente basso che comunque non si corre il rischio di degradare il segnale e perdere informazioni anche in modalità High Gain.

Detto ciò, però, devo ammettere che Kara ha anche un difetto. Difetto che non incide minimamente sulla qualità di riproduzione.

Non è “curato” nei dettagli ergonomici e la cosa è inizialmente spiazzante… Cosa intendo?

La selezione degli ingressi, così come delle modalità operative, è solamente ciclica. passare da ingresso 5 a ingresso 4, ad esempio, richiede di passare in rassegna, comunque, tutti gli altri ingressi.
Idem la selezione delle modalità operative.